Franca Turra, nata Francesca Sosi l’11 giugno 1918 ad Avio (TN), è stata una delle protagoniste della Resistenza italiana, un esempio di coraggio e determinazione. Figlia di una famiglia socialista, trascorse la sua giovinezza tra Rovereto, Chivasso, Torino e, dal 1936, Bolzano, dove il padre, falegname e poi operaio specializzato alla Lancia, aveva trasferito la famiglia in cerca di lavoro. Proprio a Bolzano, Franca incontrò Vittore Turra, trentino anch’egli, laureato in legge e fervente sostenitore del regime fascista. La coppia si sposò nel 1938 e, poco dopo, Vittore partì come volontario per le campagne militari in Spagna e in Africa. Nel 1940 nacque la loro unica figlia, Gabriella, ma nel gennaio dell’anno successivo Vittore fu catturato dagli inglesi in Africa e trasferito in un campo di prigionia in India, dove rimase fino al 1946.
Nel frattempo, a Bolzano, Franca lavorava come impiegata all'Ufficio del Lavoro e si occupava della figlia. Con l'8 settembre 1943 e l'occupazione tedesca della città, la realtà che la circondava cambiò drammaticamente. In questo periodo iniziò la sua attività di resistenza. Inizialmente, raccoglieva i bigliettini lanciati dai prigionieri dai vagoni ferroviari, cercando di far arrivare notizie alle loro famiglie. Ma ben presto il suo impegno divenne più diretto e profondo. Decise di entrare nella Resistenza, assumendo il nome di battaglia di "Anita".
Con l’apertura nel 1944 del campo di transito di Bolzano, Franca divenne un punto di riferimento centrale per il comitato clandestino che si occupava di assistere i prigionieri. Coordinò molte attività di supporto, come l'invio di pacchi con cibo, vestiti e denaro ai prigionieri, ma anche l’organizzazione di piani di evasione. Manteneva i contatti tra la resistenza interna al campo, il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) di Bolzano e il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) di Milano. Durante il suo coinvolgimento, si rese anche protagonista di numerosi rischi, operando senza mai rivelare la sua attività al marito, Vittore, che nel frattempo rimaneva prigioniero in India e non sospettava nulla delle sue azioni.
Nel dicembre del 1944, dopo una serie di arresti tra i membri della resistenza, Franca assunse un ruolo ancora più centrale nell'organizzazione delle attività e delle evasioni.
Franca morì a Peschiera del Garda il 12 dicembre 2003, lasciando un'eredità di coraggio, speranza e resistenza che continua a essere ricordata, anche grazie alla memoria lasciata dalla figlia Gabriella, che raccolse le testimonianze dei genitori.
Nel frattempo, a Bolzano, Franca lavorava come impiegata all'Ufficio del Lavoro e si occupava della figlia. Con l'8 settembre 1943 e l'occupazione tedesca della città, la realtà che la circondava cambiò drammaticamente. In questo periodo iniziò la sua attività di resistenza. Inizialmente, raccoglieva i bigliettini lanciati dai prigionieri dai vagoni ferroviari, cercando di far arrivare notizie alle loro famiglie. Ma ben presto il suo impegno divenne più diretto e profondo. Decise di entrare nella Resistenza, assumendo il nome di battaglia di "Anita".
Con l’apertura nel 1944 del campo di transito di Bolzano, Franca divenne un punto di riferimento centrale per il comitato clandestino che si occupava di assistere i prigionieri. Coordinò molte attività di supporto, come l'invio di pacchi con cibo, vestiti e denaro ai prigionieri, ma anche l’organizzazione di piani di evasione. Manteneva i contatti tra la resistenza interna al campo, il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) di Bolzano e il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) di Milano. Durante il suo coinvolgimento, si rese anche protagonista di numerosi rischi, operando senza mai rivelare la sua attività al marito, Vittore, che nel frattempo rimaneva prigioniero in India e non sospettava nulla delle sue azioni.
Nel dicembre del 1944, dopo una serie di arresti tra i membri della resistenza, Franca assunse un ruolo ancora più centrale nell'organizzazione delle attività e delle evasioni.
Franca morì a Peschiera del Garda il 12 dicembre 2003, lasciando un'eredità di coraggio, speranza e resistenza che continua a essere ricordata, anche grazie alla memoria lasciata dalla figlia Gabriella, che raccolse le testimonianze dei genitori.